La crescita è interpretata come successione di tappe e obiettivi cognitivi ed emotivo-relazionali via via raggiunti nonché come continua interazione tra il mondo delle relazioni oggettuali interne e il mondo della realtà esterna, facendo riferimento ad autori quali Anna Freud, Melanie Klein, Donald Winnicott, John Bowlby, Wilfred Bion e degli autori contemporanei che ne hanno sviluppato il pensiero. Fondamentali sono la comprensione dei vissuti dei genitori nel periodo prenatale, la raccolta dei loro ricordi circa la primaria relazione madre-bambino e i primi tre anni di vita del figlio.
Nella presa in carico educativa/terapeutica l’operatore da un lato si pone come oggetto nuovo che va a rivisitare le funzioni carenti dei caregiver o a rinforzarne le positive rappresentazioni interne, dall’altro crea ponti con i caregiver attuali ed opera ‘bonifiche’ nel campo.
La teoria transgenerazionale (Kaes, Faimberg e altri) e la terapia centrata sulla genitorialità (Nanzer) sono riferimenti contemporanei importanti nella pratica clinica con i bambini.
In una cornice teorica debitrice dei modelli di psicoterapia evolutiva di Tommaso Senise e di Gustavo Pietropolli Charmet e dei loro allievi e collaboratori, l’inconscio è pensato in termini semiotici, come centrale di elaborazione simbolica costantemente impegnata in un lavoro di ricerca e attribuzione di senso.
La “seconda nascita” durante la preadolescenza e l’adolescenza pone di fronte a specifici “compiti evolutivi”: la separazione-individuazione, la mentalizzazione del nuovo corpo sessuato, l’apertura a una nuova dimensione relazionale e sociale, l’elaborazione valoriale ed ideale, la dimensione progettuale orientata al futuro.
L’adulto competente (genitore, insegnante, educatore, psicologo…) affianca l’adolescente alle prese con questi compiti, per prevenire blocchi evolutivi in cui tentativi fallimentari di superamento possono esitare in manifestazioni sintomatiche. La presa in carico sostiene l’adolescente nella ripresa del suo percorso evolutivo, favorendo la mentalizzazione e aiutandolo a recuperare un senso di Sé integro e competente
Il modello metapsicologico relativo all’adulto nasce dalla teoria freudiana che segue le vicissitudini della libido e il riferimento all'Edipo, per proseguire con l’integrazione relativa alle fasi preedipiche e alla relazione con l'oggetto intrapsichico di Klein.
Attraverso lo studio del Sé, in primo luogo con Winnicott, e al modello della mente di Bion, si arriva fino agli apporti contemporanei relativi all’importanza della mentalizzazione, ad esempio con Fonagy.
Tale sviluppo teorico segue un analogo sviluppo della clinica, che ha visto nei decenni l’ampliarsi della possibilità di cura dalla presa in carico dei pazienti nevrotici, così come indicato da Freud, alla cura di pazienti gravi, borderline e psicotici, con progressive modifiche del setting, dal riaffiorare del simbolico rimosso, alla necessità di mentalizzare l’asimbolico.
Per lungo tempo l’approccio clinico psicoanalitico alle persone anziane ha suscitato perplessità tra gli psicoanalisti in quanto si riteneva che il trattamento analitico fosse consigliabile solo qualora fossero disponibili significative opportunità di soddisfacimento dei propri bisogni e desideri. Il miglioramento delle condizioni socio-culturali, il prolungamento dell’aspettativa di vita, la decrescita demografica hanno modificato profondamente gli equilibri sociali e generazionali.
Le peculiarità dell’età anziana riguardano da un lato le problematiche legate all’invecchiamento cerebrale patologico (le demenze) con le loro pesanti ricadute personali e familiari. Dall’altro lato l’invecchiamento protratto, anche se in buona salute, è fonte esso stesso di difficoltà: limitazioni nell’autonomia, perdita di un ruolo attivo, prospettiva di perdite future sempre più gravi.
Oggi, quindi, non è rara la richiesta di un trattamento di tipo psicoanalitico da parte di persone anziane che intendono conferire un senso al proprio invecchiamento. I lavori pionieristici di Karl Abraham del 1919 hanno contribuito alla nascita di un’attenzione psicoanalitica verso questa fase del ciclo di vita.
In seguito altri autori si sono occupati della psicoanalisi di pazienti anziani, tra questi ricordiamo Hanna Segal, che ha descritto le declinazioni dell’angoscia di morte nelle diverse età; Pearl King, che ha approfondito lo studio delle dinamiche transferali nel contesto del sentimento di “urgenza temporale”; Nina Coltart, che ha evidenziato le possibilità di ripresa vitale e ri-esperienza dell’affetto perduto; Jean-Michel e Danielle Quinodoz che hanno proposto riflessioni importanti circa il lavoro di integrazione di sentimenti inconsci di odio e di amore per i propri oggetti interni.
Possiamo far risalire la teoria sui gruppi a due nuclei teorici centrali e originari: Bion con le teorizzazione relative agli assunti di base e il concetto di valenza, e quello di mondo interno di Klein e di “spazio interno-esterno” di Winnicott. A questo nucleo centrale si aggiungono le successive teorizzazioni del concetto di campo introdotto dai coniugi Baranger in Argentina. La teoria dei gruppi si sviluppa anche in Europa: in Inghilterra, il lavoro di Foulkes, Rickman, Main, Turquet, Jaques, Menzies, de Marè, Hinshelwood, Pines ha favorito e sostenuto la nascita di istituti quali, ad esempio, la Tavistock Clinic e il Tavistock Institute. Anche in Francia il lavoro e la teoria sui gruppi trova terreno fertile, ne sono un esempio Anzieu, Kaes e Rouchy; anche in Italia sono molti i contributi alla teoria dei gruppi in particolare ricordiamo il lavoro di Napolitani e Corrao e il cosiddetto gruppo del Pollaiolo, il contributo di Gaburri. Gli studi sui gruppi lavoro vengono tutt’ora promossi e portati avanti, tra gli altri, da M. Perini.
Il gruppo di lavoro nella originale concezione bioniana si costituisce come un gruppo orientato al compito. Tale modalità di funzionamento del gruppo dovrebbe essere razionale e finalizzata all’ottenimento di un risultato. È Bion stesso a evidenziare come ciò sia illusorio, poiché, in ogni gruppo, si riscontra un funzionamento più inconscio e irrazionale sostenuto dalla necessità di ciascun membro di soddisfare bisogni personali, emotivi e sociali. Bion sottolinea come tale duplice configurazione, gruppo di lavoro (Cfr) e gruppo in assunto di base, sottenda al lavoro di tutti i gruppi e il compito “dichiarato” del gruppo svolga la stessa funzione, per il gruppo, che l’Io svolge negli individui.
La clinica contemporanea accomuna le diverse forme patologiche di dipendenza (dalle sostanze, dall’alcool, dal cibo nelle varie espressioni dei disturbi del comportamento alimentare, da Internet, dal gioco d’azzardo…) sulla base di alcuni aspetti ricorrenti.
Le dipendenze paiono spesso tentativi di autocura a cui ricorrere per difendersi dall’angoscia del vuoto; l’oggetto prescelto, inanimato e in quanto tale alla mercè del soggetto, si offre come illusoria risposta sempre disponibile, permettendo di non entrare in contatto con la mancanza, con la frustrazione, con il limite.
Il soggetto, pur dipendente, si vive in rapporto all’oggetto come se ne avesse il controllo onnipotente, tuttavia rapidamente tutta la sua vita (psichica, relazionale, affettiva, sociale, lavorativa…) si focalizza esclusivamente sulla dipendenza, mostrando rapidamente la fallacia di questa relazione.
In questi termini le varie forme di dipendenza vengono a volte chiamate “patologie della volontà”.